Impazzendo

traducendo … emigrando … riflettendo …

Disclaimer per futuri baci

Posted by npanna su ottobre 31, 2010

– Dolcetto o scherzetto!

– Smack!

– Uhm…

– Smick!

– Uff!

– Dimmi tu se questo non è un ometto. Pciù!

– Eh basta Naná!

– Eh dai Dolia, l’ultimo! A schiocco!

– Ho detto Dolcetto o scherzetto, non bacetto! Non lo vedi che sono un vampiro?

– Un vampiretto.

– Digrigno i denti? Dolcetto o scherzetto! Grrrr!

– Shampoo? Hai i capelli un po’appiccicosi Dolia, non sarà ora di lavarli? Smick!

– Basta Naná, ecco, vedi? È colpa tua! Smettila di baciarmi sulla testa, ci lasci la saliva, mi sporchi! D’ora in poi mi puoi baciare solo … sulla testa NO! Mi puoi baciare solo … anzi no, sai cosa? Non baciarmi e basta! Non baciarmi mai più da nessuna parte!

– Dolia! Guardami bene: io non smetterò mai di baciarti, a dieci, venti, trenta, quarant’anni. Rassegnati!

– Sai cosa Naná? Io non ci potrò pure fare nulla. Ma quando sarò sposato, e tu continuerai a baciarmi, a mia moglie la cosa non piacerà, lo troverà molto strano, allora te la vedrai con lei!

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Berlino: atti di coraggio sul bus 171

Posted by npanna su ottobre 31, 2010

Non so da voi, ma qua da noi a Berlino il bus 171 passa anche dalla fermata della metropolitana di Rudow, e da Rudow continua la sua corsa fino all’aeroporto di Schönefeld. Questo è il nostro bus 171. Ma non è diretto. Prima di arrivare al terminal Partenze attraversa snervanti fermate ai margini dell’orrenda periferia berlinese. A me non piace. E snervanti perché sono impaziente. Quindi, chi da Rudow prende il 171 non è per forza detto che scenda all’aeroporto. Se ha con sé una valigia, beh, allora, è molto probabile che debba salire su un’autovolante. Però, tutto sommato, tutto può essere.

Insomma, io ero seduta sul 171 e andavo certamente all’aeroporto di Schönefeld. Ufficialmente proprio. L’avevo annunciato. Avevo detto: ci vediamo mercoledì! Ed era domenica. Come mercoledì? Aveva detto mia madre, con la voce piena di entusiasmo. Mannaggia! Ho pensato io. Avrei potuto farle una sorpresa. Di nuovo. Come quella volta che non sapeva nulla del mio arrivo e mi è corsa incontro attraversando i campi di zia Maria, riempiendo l’aria del mio nome per dirmi poi ansimante: figlia mia! Non credevo di sapere ancora correre. Ma non farlo mai più. Potrei morire di infarto. Questa volta mi ero tradita mezzora dopo aver comprato il biglietto.

Sul bus 171, la signora accanto a me era stata più accorta. Ed era ancora intenta a proteggere il segreto della sua corsa. Stringeva fra le gambe una valigia viola e con voce roca parlava in tedesco al cellulare: Sì, sì, sto male, sì, molto. Oggi non posso proprio venire al lavoro, non in queste condizioni. Sì, è meglio. Mi metto a letto, ora mi riposo, prendo un’aspirina. Sì, le farò sapere. Sì. Anche a lei. Grazie. Ho guardato il profilo di quel volto, cercando di imprimerne nella memoria i tratti. Ho fissato un’ora, un giorno, un luogo. Chi l’ha visto esiste anche in Germania. Poi mi sono ricordata del seminario sul coraggio. Della docente che diceva: Osate, osate almeno una volta al giorno! Scavalcate la fila al supermercato (che gesta!), mangiate un’intera tavoletta di cioccolato (non è normale?), uscite con un ex affamato (mai nessuna di noi)!

– Scusi? Sì scusi se mi permetto. Sa, ci siamo solo io e lei su questo bus, per giunta sedute una accanto all’altra, la prossima fermata è l’aeroporto, lei ha una valigia, si può pensare che su un bus l’acustica non sia delle migliori, ma stando proprio fianco a fianco… Gradisce un’aspirina? Ne ho sempre un pacchetto con me quando viag-

– Non pensavo mi capisse. Non credevo fosse tedesca.

– No ecco, mi dispiace, ha ragione, ne sono lusingata, non sono tedesca, ma la capisco perfettamente, una ha bisogno di evadere, aria nuova, o aria vecchia, aria verde, cioè aria diversa insomma, va anche lei a trovare la sua famiglia?

– Vado a trovare il mio amante.

– Ah, eh, schön! Ma amante nel senso, cioè, è lui l’altro, o è lei l’altra?

– Entrambe le cose. Io ho un fidanzato. Lui una moglie e forse anche qualche altra. Abbiamo un appartamento comune nella città dei nostri incontri ma l’ultima volta c’era anche una scatola.

– Tra di voi? Una scatola?

– Un cartone.

– Un cartone, capisco.

– Un cartone di bottiglie di vino. Pieno di oggetti, femminili, che non mi appartengono.

– E lei?

– Ho richiuso tutto e riavvolto il nastro di quei ricordi non miei.

– E adesso?

– Nulla, non oso parlargliene.

– Ecco, signora, questo è il punto. Ci siamo arrivate. Bisogna osare! Osare una volta al giorno!

– Beh, per dirla tutta, oggi direi di aver osato in abbondanza, in eccedenza!

– In effetti. Forse non è un discorso per lei questo.

– E lei invece? Cosa ha fatto oggi di coraggioso?

– Ecco, non la prenda male, ma, pensavo che parlare con lei fosse un atto coraggioso.

Mi ha guardata non sapendo come reagire, d’altronde restavamo delle complete sconosciute e, da parte mia, per correggere il tiro era ormai troppo tardi. Ho abbozzato un sorriso ebete in attesa della prussiana bacchettata.

– Dica la verità signorina, dica sempre la verità. Non si infili in tunnel di bugie. È meglio la droga, l’alcol, delle bugie. Parlo di esperienze concrete.

– Non lo metto in dubbio. Le bugie, intendo. Non le esperienze, cioè, che sia brutto.

E poi siamo scese dal bus 171. Per fortuna, perché ne avevo abbastanza della mia finta audacia. E god knows quanto le azioni intrepide e la verità non mi confacciano. Che parola antipatica. E pure al congiuntivo. A che pensavo? Concludiamo come è giusto che sia: The end (di bianco e in giapponese).

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Errori cardinali: perdere la bussola per dei falsi amici!

Posted by npanna su ottobre 19, 2010

– Teresina lo sai che tra qualche giorno parto per la Germania? Vado a trovare una mia amica che vive vicino a dove abitavi tu. A Castrop-rauxel. È vicino a dove abitavi tu, vero?

– Davvero?! Che bello Gesuina! Sì sì è proprio vicino. Che nostalgia, che bei posti!

Santina, incuriosita dal dialogo tra Teresina e Gesuina, chiede a Gesuina:

– Dai Gesuina, parti?! E dove si trova questo posto?

– Nella ex Germania dell’Ovest.

– Come nella Germania Ovest, Gesuina? Quella è Germania Est, io lo so, ci ho vissuto.

– Veramente Teresina, io adesso i confini della Germania Ovest e della Germania Est non me li ricordo esattamente, però un po’ di geografia, i punti cardinali, se guardi la cartina, quello è ovest, non è mica est.

– Ma scusa poco poco, quella è la Westfalien, West in tedesco vuol dire est, mentre Ost vuol dire ovest, quindi se ero nella Westfalien ero nella Germania Est.

– Eh no, Teresina, West in tedesco vuol dire ovest. È Ost che vuol dire Est.

– Non dirmelo! Ma sicura sei Gesuina?

– Abbastanza, sì. Ma poi Teresina, basta guardarsi la cartina eh!

-Ma io ci ho vissuto! Gesuina, e quindi io tutti quegli anni ero nella Germania dell’Ovest e non dell’Est? E come è possibile?

Teresina riflette per qualche secondo e aggiunge:

– Uhm, Gesuina, non so se crederti cara Gesuina.

 

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Nefaste feste di laurea

Posted by npanna su agosto 29, 2010

Questo è un altro articolo sull’incredibile fiducia nel futuro da parte del popolo teutonico e su alcune smentite.

Mettete un calendario in mano a un tedesco: alla vista di tutte quelle scarne caselline gli si apre un allettante vuoto da colmare. Oh incontenibile emozione! Un’enorme distesa di spogli quadratini da conquistare. Pianificare, pianificare, pianificare!

Osservo l’unico calendario in mio possesso, un regalo. È fermo a maggio.

Mi sono laureata nel 2009. In Germania molti corsi di studio non prevedono la discussione della tesi. Niente parrucchiere, niente pathos, nessuna stretta di mano, nessun fiore. Ci si laurea depositando in segreteria il proprio mattone in triplice copia.

Così è stato anche per me in una buia e tempestosa mattina d’inverno.

Ero stata una settimana prima in segretaria:

– La settimana prossima consegno la tesi.

– In triplice copia, lo sa no? Ogni copia deve essere firmata e datata. Lo fa qua, davanti a me, altrimenti non vale!

– Vengo l’ultimo giorno utile. Mi dica, dove devo andare se questo ufficio dovesse essere chiuso?

– Perché dovrebbe essere chiuso? Quando mai chiuso e chiuso! Io ci sono!

– Mi creda, signora, si fidi. Anzi, faccia una cosa, si organizzi perché la settimana prossima lei non lavora, io mi conosco, c’è una certa melodrammaticità obbligatoria che mi accompagna.

– Le dico che ci sarò. Se proprio non dovessi, vada nell’ufficio accanto. E si ricordi di firmare!

Ultimo giorno utile.

Mentre avanzo verso la segreteria con ossequiosa e cadenzata prudenza nei vuoti corridoi del dipartimento di romanistica – vicino al cuore le mie tre copie in una scatola di cartone stretta al petto – mi ripeto è fatta, è finita, e rievoco nella mente i primi passi verso quella decisione per molti avventata. La telefonata a casa mamma, ho deciso, non torno, No figlia mia no, il test d’ammissione, i corpi ammassati nel lungo e buio corridoio della Humboldt davanti all’ufficio iscrizioni nell’ultimo giorno utile, la prima lezione, le prime facce, l’insinuarsi del timido sospetto di aver commesso un errore.

Proprio come si dice accada poco prima di morire. Dentro quella scatola chiusa con lo scotch giallo da carrozziere, la Naná universitaria se ne andava spassionatamente all’altro mondo.

Sulla porta della segreteria è appiccicato un foglio, sollevo un sopracciglio: la segreteria resterà chiusa a tempo indefinito.

Busso nell’ufficio accanto. Mi accoglie un’impiegata dal volto noto.

– Devo consegnare la tesi.

– Venga, prego, si accomodi, signorina, complimenti, bene, si sieda, a ma guarda, che coincidenza, lei è nata a Cag-liári, bella la Sicilia, molto bella.

Devo firmare, le copie, tutte e tre, altrimenti, non sono valide, ultimo giorno, oggi.

– No ecco, veramente, Sardegna, ma non importa, devo firmare ha una pen-

– Sardegna? Mi sta dicendo cha Cag-liári non è in Sicilia?

– No, Sardegna, Cà-gliari, ma guardi completamente irrilevante.

Mi ritrovo una penna in mano, forse apro la prima copia, data, la data, che giorno è oggi?

– E allora dove caspiterina sono stata io in vacanza? Mi pareva Sicilia, posti bellissimi, ma mi pareva fosse Cag-liári…

– Bella anche la Sicilia certo, scusi che giorno è oggi?

Apro la seconda copia. Ho firmato la prima?

– Un giorno bellissimo signorina, un giorno indimenticabile!

– No, dico, la data esatta, ho un vuo-

L’impiegata mi strappa le tre copie dalle mani.

– Ecco fatto! Bene signorina, grazie. Tanti auguri e parta, si faccia una vacanza! Le faremo sapere. Posti meravigliosi, la Sicilia.

Esco e non ho la più pallida idea. Ho firmato? Mi ritrovo nel cortile dell’università. È presto. È freddo. Non c’è nessuno. Guardo la scatola di cartone. Vuota. Incespico nei miei pensieri. Mi scuoto. Dedico alla mia laurea qualche minuto di raccoglimento. Poso il cartone su una panca. Mi siedo. Il freddo del legno mi costringe a chiudere il collo sciallato. Mi alzo. Mi siedo con un colpo secco su quella scatola. Appiattisco il vuoto e me ne servo come isolante. Va meglio.

A luglio del 2010 mi è arrivata conferma dell’ufficializzazione della laurea. Posso ora ritirare tutti i certificati.

Nella stessa busta anche un invito: Festa di laurea. Siamo lieti di comunicarle che la festa di laurea si terrà a luglio del 2011!

O mio Dio! Mi sento sopraffatta dal patema di essere osservata. Mi volto circospetta a destra e sinistra, rinsacco la testa come una tartaruga per non sentire il fiato sul collo: fff, fff, fff!

È mai possibile nessuno gli abbia mai detto che porta male? Santo cielo! Porta iella! Immaginatevi uno che vi dice: ci vediamo nel 2011!

Ma vai a morire ammazzato brutto iettatore porta sfiga menagramo cugurra tu e tutta la tua genia!

I tedeschi non si pongono degli obiettivi: si impongono delle scadenze, fissano date, confidano incondizionatamente nel susseguirsi regolare del tempo. Il gioco dell’oca del futuro. Spostano ubbidienti le loro pedine in lunghi cicli astronomici.

Io, con questa storia, nel 2011 ho già due appuntamenti. Due spade di Damocle pendenti sulla testa, unte d’ansia da prestazione di vita: devo fare di tutto per sopravvivere perché io nel 2011 devo esserci. Sono stata messa in schedule, sono pianificata, programmata. Vedo caselle con un segno di spunta accanto al mio nome e temo possano mutare in una grossa, nefasta, rossa X.

A me viene da toccarmi dove non ho. Allora tocco legno, come si fa in Germania. Di legno ne hanno in abbondanza i tedeschi.

La lettera d’invito continua: “la preghiamo di informarci su un eventuale cambio di indirizzo, di modo da poterla raggiungere con sicurezza anche a giugno del 2011 e farle pervenire il nostro invito ufficiale”.

Altro sobbalzo. Fanno della reperibilità un obbligo morale. Non pensate di potervela scampare. Vi troveremo ovunque.

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Pendenze avverse e ore inverse

Posted by npanna su agosto 27, 2010

L’ho detto tante volte ormai: ho paura dell’aereo. E poi ho paura dei cani, dei pesci lunghi sottacqua, dei cavalli, degli asini, dei batteri. Avevo paura delle blatte fino a qualche giorno fa. Ora le schiaccio con una scarpa dalla suola dura, per mettere una buona distanza tra me e loro. Dicono le blatte possano sopravvivere alla guerra atomica, non mi pare sopravvivano a una pesante e puzzolente suola di gomma, ahimè! Periscono anche loro. Io sferro un colpo secco seguito da almeno altre tre scarpate fino a fare spezzatino di budella di blatta su mattonella. Sto ancora lavorando su come eliminare l’urlo, il tremore e il saltello annessi. Per il resto sembro molto coraggiosa. E infine, per terminare questo piccolo excursus sulle mie paure, odio i traghetti. Mi mettono ansia, mi scombussolano lo stomaco, e la testa.

Grecia.

Andavamo di isola in isola su pericolosi traghetti puzzolenti di fiamme e naufragio.

In una stretta e angusta cabina. Flusso di coscienza.

Apro gli occhi. La nave pende. Stiamo affondando, questa volta per davvero! Ne ho contate tante stanotte, ma questa è una pendenza seria: è finita! Accendo la luce. Prendo l’orologio in mano. Devo documentare l’ora della mia morte: le 10:20 del mattino.

Le 10:20 del mattino?!?

– Nillo! Nillo! Svegliati Nillo, svegliati, svegliati!

– Uh?

– Sei sveglio?

– Uh!

– Nillo a che ora sbarchiamo ad Anafi?

– Ancora? Non lo so, credo alle 9 Naná!

– Nillo, guarda, sono le 10:20! Abbiamo perso lo sbarco Nillo? Possibile non ci abbiano svegliato? E adesso dove ci ritroviamo? Dove ci stanno portando Nillo? Che fine faremo?

– Naná, la smetti? Vai a chiedere dove siamo!

– Io?

– Sì, tu! Dato che mi hai svegliato.

Nillo lo sa che non amo fare domande. La sera prima, mentre cenavamo al bar della nave, voleva chiedessi al cameriere l’orario dello sbarco ad Anafi. Che domanda inutile! Avete presente i traghetti che vi traghettano per le isole della Grecia? Si ha l’impressione le tocchino tutte nel giro di poche ore, uno sbarco ogni dieci minuti. Vanno di porto in porto durante il giorno e la notte in un singhiozzo ininterrotto di attracchi e partenze. Fanno le loro manovre verso il molo con il portellone aperto. Una grande lingua di ferro sospesa sul mare che regge un marinaio sulla punta mentre i passeggeri aspettano di essere vomitati sul porto appena la mascella della nave si poggia veloce sul cemento.

– Ma l’hai guardato bene il cameriere? Ci ha messo un quarto d’ora a trovare il sandwich al formaggio e secondo te ha in mente la scaletta completa degli sbarchi?

– Vuoi solo evitare di fargli una domanda Naná!

– Ma no Nillo, davvero! Lo vedi? Ha la faccia stupida. Non sa nulla. E poi, Nillo, sei tu che hai comprato i biglietti! Stava a te informarti sull’orario dello sbarco.

Adesso sono le 10:20. Ci abbiamo dormito su. L’ho svegliato. E va bene. Cedo. Vado a informarmi sul nostro destino.

In pigiama attraverso lo stretto corridoio. Eppure pende, ma nessuno si muove, nessun allarme, niente concitati calate le scialuppe, sarà una pendenza nella norma? Salgo in superficie. Scosto una tendina. Mi affaccio a un oblò. Le luci di un porto. Che porto? Le luci di un porto. Le luci. Belle le luci di un porto. Mi faccio scudo con le mani per vedere meglio, avvicino il viso all’apertura. Non riconosco nessuna scritta. Ci sono le scritte sui porti? È buio. Buio pesto. Sono le dieci e venti del mattino. Vorrà dire che in quest’isola, ovunque noi siamo, alle dieci e venti del mattino è buio. Certo. Vorrà dire che è così! Mi passa accanto una ragazza con indosso una tuta da meccanico, blu. Ha in mano una cartella. Lavora chiaramente sulla barca.

– Scusi?

– Sì?

– Che ore sono?

– Sono le –:–

Mi stringo le mani al petto. Faccio il mio percorso al contrario. Mi perdo. Ritrovo l’orientamento. Ritrovo la cabina. Trovo Nillo ancora a letto. Prendo di nuovo in mano l’orologio.

– Quindi? Dove siamo?

– Nillo hai presente ‘sti orologi moderni?

– Hai chiesto Naná? Dove siamo?

– Il design moderno non tiene proprio conto della praticità. Scriverò una lettera per lamentarmi, pensi una mail basti?

– Naná che cavolo stai farfugliando?!? Dove siamo?

Non funziona, proviamo con la commedia…

– Ihihihi, ahahah, Nillo, eheheh, che ridere, uhuhuhuh, Nillo, ma pensa te! Che divertimento! Ahahahah, non ammazzarmi però, ihiiiihih, le cose che capitano, ehehehe…

– Naná?

– Nillo?

– Naná?!? Insomma!

– Ehm, Nillo, ecco, tutto sommato, ecco, è una buona cosa! Per noi dico, è una buona cosa.

– Cosa azz stai dic-

– Ho letto l’orologio al contrario, Nillo! Non ha quadrante, lo vedi bene anche tu che insorge una certa difficoltà … Nillo, ehm … sono le tre e cinquanta!

– No Naná, non è possibile! Mi svegli nel mezzo della notte, mi fai venire un quasi infarto pensando di essere chissà dove, fammi vedere l’orologio! E questo numeretto scritto qua in cima?

– Lo vedi anche tu che è inciso sul metallo. Si vede appena appena …

– Uhm, mi sembra tanto un dodici … E questo scritto qua in basso? Mi sembra tanto un sei… Mi domando in quale direzione si debba leggere questo complicatissimo aggeggio…uhm, vediamo un po’… con il dodici verso l’alto? O con il dodici verso il basso? E del sei cosa ne diventa poi? Un nove? Uh? Uh? Miracolo!

Mi infilo sotto le coperte sperando il sonno sedi il sarcasmo di Nillo

– Quindi?

– Quindi cosa?

– Hai chiesto a che ora arriviamo ad Anafi?

– No, ho chiesto che ore sono. Mi sembrava abbastanza come domanda! Chiedi tu stavolta!

– Mi svegli in preda al panico, quasi mi ammazzi, e adesso devo pure chiedere io? Tutto io, sempre tutto io devo risolvere, tutto io!

Nillo impreca e esce dalla cabina. Torna dopo appena qualche secondo.

– Ho incontrato una ragazza!

– Figuriamoci!

– Piantala Naná, una che lavora sul traghetto, con una tuta blu.

– Sexy?

– Ho chiesto a che ora arriviamo.

– Dunque?

– Alle dieci e venti!

– Hai visto Nillo? Si tratta solo di saper leggere i segni che il fato dissemina per noi lungo il nostro impervio cammino.

– No Naná, si tratta solamente di imparare a leggere l’orologio! A Natale tu torni al digitale! Buonanotte! E non svegliarmi, sempre che non stiamo affondando.

– A tra poco allora Nillo.

– Uh?

– Nulla, nulla, buonanotte.

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Di fusi … e fuse!

Posted by npanna su luglio 23, 2010

– Bene signori, il tour può partire, faremo una bella passeggiata insieme attraverso Berlino …

Ci raggiunge un trio di signore tutte trafelate.

– Aspettate, aspettate! Ci siamo anche noi! Siete gli italiani? Vi abbiamo trovato, finalmente! Uh che fatica! Uh che fortuna! Pant pant!

– Buongiorno signore! Ben trovate! Il nostro gruppo si allarga, siamo felici di accogliervi tra noi.

– Uff che corsa! Siamo state fortunatissime a trovarvi ancora qua.

– Speriamo signore, speriamo!

– Ma come mai tutto questo ritardo?

– Un po’ italiani lo siamo anche noi signora. E poi, che fa? Non mi concede nemmeno il quarto d’ora accademico? È appena passata la mezza!

– Sì sì, beh, certo, il quarto d’ora come no, ma qua c’è il quarto per quattro giorni… comunque meglio per noi, altrimenti, senza il vostro ritardo, non avremmo potuto partecipare al tour.

– Scusi, ma lei che orario ha sul volantino?

– Le 10:30.

– E allora! Vede?!? Sono solo cinque minuti abbondanti di ritardo.

– Ma non c’è il fuso orario?

– Il fus- ma rispetto a cosa signora?

– A Berlino, non c’è il fuso orario rispetto all’Italia?

– C’è, sì, nel senso che è lo stesso!

– Lo stesso? Non siete un’ora avanti a Berlino?

– Ehm, non vorrei farla sentire indietro, però…

– Adesso capisco! È da ieri mattina che giriamo e non tornava più nulla! Una confusione!

– Immagino signora! Ben tornata nel suo meridiano di fiducia!

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Ariane fobie

Posted by npanna su giugno 26, 2010

Ero al supermercato. Cercavo di prendere il prezzemolo dallo scaffale delle spezie quando mi raggiungono delle urla isteriche. Mi volto e vedo una donna fuori di sé rincorrere due bambine. Stanno giocando allo zaino: la più piccola è aggrappata al collo della sorella e le stringe le gambe in vita.

– Scendi! Scendi! Insomma! Scendi! Quante volte vi ho detto di smetterla! Mille almeno! Almeno Mille. Adesso basta! Basta! Cosa vi ho detto?

Eh che sarà mai. Penso io. Stanno solo giocando! Manco fossimo in Italia! Qua sta succedendo il finimondo! Non si è mai vista una mamma tedesca urlare contro i figli, per giunta in un luogo pubblico. Chissà cosa le sarà preso! Chissà …

– Cosa vi ho detto eh? Cosa vi viene? COSA VI VIENE?

– L’ernia del disco mamma, l’ernia del disco.

Esagerata signora, penso! Adesso anche l’ernia del disco. Mi allungo in punta di piedi per prendere il prezzemolo. Stiro il braccio destro come una big babol consumata. Quasi preso! Uff! Questi stupidi scaffali a misura di tedesco!

– E poi e poi? Sapete cosa vi succede poi? Basse! Restate basse, avete capito? Da grandi sarete delle donne basse! Capito? Basse! Sapete cosa vuol dire? Storpie!

Mi volto di nuovo. Incontro lo sguardo terrorizzato delle bambine. Mi fissano con gli occhi sbarrati.

– Mamma, non lo facciamo più, promesso!



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Sopravviviamo alla Berlin Fashion Week

Posted by npanna su giugno 25, 2010

Dal 7 all’11 luglio si terrá a Berlino la settimana della moda: the Berlin fashion week. A pagina 42 della guida sui trend dell’estate di Glamour tedesco troverete tutto l’occorrente per la vostra “borsetta di sopravvivenza” – anche se loro la chiamano molto più elegantemente survival bag. La survival bag vi consentirà di “superare indenni la maratona della moda vitali, trendy e senza danni permanenti ai piedi”.

Vediamo un po’ di cosa ci riempie Glamour la borsetta, a noi e a tutti i modaioli:

1) borsetta 790€

2) cuffie 50€

3) acqua 2€

4) foulard in cashmere 380€

5) occhiali da sole 100€

6) macchina fotografica 6300€

7) timer (così lo chiamano loro, a me mi pare un quadernetto) 50€

8 ) scarpe basse 300€

9) liquirizie 3€

10) cipria 14€

11) collana 800€

12) penna 280€

13) lucida labbra 13€

14) limetta per le unghie 5€

15) smalto 4€

16) portachiavi 270€

17) porta biglietti da visita 260€

18) cerotti 7€

19) spilla 10€

20) elastico per capelli 4€

21) braccialetti 180€

22) spilla 5€

23) profumo 70€

24) cingomme 1,50€

25) cerchietto 220€

26) telefonino 500€

per un totale di 10 618,5 euro

Vorremmo semplicemente fare presente che ci deve essere stato un errore al momento della compilazione di questa lista di sopravvivenza. La redazione si è dimenticata di inserire l’articolo 27:

27) catena e lucchetto 7€ + 5€

Vi aspettiamo numerosi!

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Quando l’inglese uccide

Posted by npanna su giugno 23, 2010

I miei 7 assidui lettori lo sanno molto bene: io prendo l’aereo solo perché sono costretta a volare e non volo se non sotto pesanti sedativi.

Paura dell’aereo?

Ma presto farò domanda per l’anestesia totale.

Io e Marion già sedevamo in aereo, e io già avevo la cintura allacciata. Non solo. Avevo già individuato l’uscita di sicurezza a me più vicina e mi apprestavo a contare i sedili tra me e lei, perché, nell’improbabile caso di schianto al suolo, ritrovarsi vivo non è tutto. Se il sentiero luminoso sul pavimento non si illumina, se il fumo tutt’intorno è troppo denso, sei fottuto uguale: come lo trovi il portello verso la salvezza? Ci passi a fianco e nemmeno te ne accorgi. Finisce che vai avanti e indietro per la fusoliera e ti ritrovi morto dalla disperazione. Se invece sai a quanti sedili di distanza dal tuo è l’EXIT, allora hai una chance di uscire vivo, tu e chi ti segue amandoti per tutta la vita: mentre tutti danno i numeri, tu dai quelli giusti. Tu. Perché io, anche se ho contato prima, muoio dopo, per un errore di traduzione, come vuole la vita.

Quindi, tornando a 10 giorni fa, mentre sedevo su una grande macchina alata e contavo per individuare l’uscita di sicurezza più vicina a me, e la stessa macchina alata era ancora parcheggiata in quel posto dove ci sono tante altre macchine come lei, e non si decideva a partire, il capitano prende la parola:

– Ladies and gentlemen, ze captain speaking, ve are very sorry for ze delay but ze small engine is not working. Ve vill shortly depart.

– Naná, cosa stai facendo?

– Sto andando.

– Naná non penso possa andare al bagno prima ancora del decollo.

– No no Marion, tu non hai capito! Io sto andando via!

– Come sto andando via? Dove è che vai?

– Marion, il portellone è ancora aperto. Lo vedi il sole che entra? La vedi quella luce? Cosa vuoi di più? Ti servono altri segnali del destino? L’ultima luce verso la salvezza. Andiamo Marion! Scendiamo scendiamo!

– Naná siediti, ma cosa stai farfugliando?

– Marion, hai sentito che cosa ha detto il capitano? L’aereo sta cadendo a pezzi. È un rottame. Siamo morti!

– Aspetta Naná dai, calmati, lo sta ripetendo in tedesco, ascolta.

– Sehr geehrte Damen und Herren, wir entschuldigen uns für die Verspätung aber wir werden in Kürze starten. Wir bitten Sie um einen Moment Geduld.

– Marion, non ha detto nulla, ti rendi conto Marion? In tedesco non ha detto nulla, ci vogliono fottere! Della serie: ah io l’ho detto, l’ho detto prima di partire, l’ho detto che era guasto! L’ho persino detto in inglese, nella pseudo lingua di tutti. Non mi ha dato retta nessuno, ma io l’ho detto. Peccato che qua di gente che capisca l’inglese masticato di un capitano tedesco ce ne sia poca e siccome tutti sanno che non si capisce non ascolta nessuno, tranne me. Perché cazzo ascolto Marion? Cosa mi metto anche io ad ascoltare. Ma l’ho sentito solo io? Marion eh? Eh?

– No no Naná, un qualcosa su un qualche motore l’ho capita pure io …

– Andiamo Marion! Prima che chiudano il portellone, DONG, poi non abbiamo scampo.

– Naná, non ci lascerebbero partire se ci fosse un guasto al motore, e poi, ha detto small engine, chissà di quale motorino stava parlando…

Cominciò tutto con un guasto al motorino, già me lo vedo l’articolo sul giornale, e poi precipitò l’intera elettronica!

– Naná che fai? Siediti!

– Scusi? Scusi lei, sì, sì lei, signore lo steward, a qualcosa servirà la sua presenza su questa macchina. Allora, mi dica, che storia è?

– ?

– Non faccia il finto tonto sa, qua c’è gente che ascolta! Il motorino dico, quello small engine…

– Non è nulla signora.

– Cosa è intanto?

– Ma nulla signora, è tutto risolto.

(Il present continuous, ha presente? The small engine is not working, cosa vuol dire secondo lei? Non mi sembra ci sia nulla di risolto, non sta funzionando adesso, qua, ora, nel presente, nell’immediato presente! Capito? E poi quel determinante di fronte, THE, così grande. Mica A small engine, mica UN motorino qualsiasi, no, figuriamoci, doveva essere proprio THE small engine, IL motorino! Così piccolo e così carico di immensa importanza. È lui, è the small engine, c’è solo lui, lui solo, insostituibile, indispensabile. E quello, a quanto pare, IS NOT WORKING! Non sta funzionando! Lei volerebbe eh?)

– Sa, partire con un motorino rotto … adesso io non vorrei …

– Signora, il motorino del quale stiamo parlando serve a regolare l’aria condizionata delle cappelliere.

– Chi mi garantisce che non si guastino anche i motoroni? Un deterioramento progressivo di tutti i motori … chi lo può escludere?

– Noi. Perché sono due cose completamente diverse signora. Si rimetta a sedere. È tutto sotto controllo! Stia tranquilla. Senta senta il capitano ha ripreso la parola…

– Ladies and gentlemen we will be departing in a few minutes. Iz  ze perfect day to fly!

È la giornata ideale per volare?

Ecco, è fatta, siamo morti. Abbiamo trovato un titolo decisamente migliore per l’articolo di giornale: Eppur era la giornata ideale per volare! Adesso si tratta solo di recuperare la scatola nera.

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Benvenuta da morire!

Posted by npanna su giugno 11, 2010

– Naná! Oh Naná, ma tu sei? Oh cugina! Naná! E fermati! Vieni qua! Ma tornata sei? Avvicinati!

– Gianni, non urlare, eja, sono io, sono in vacanza, avvicinati tu, che io sto andando a casa a mangiare.

– Naná, oh disgraziata!

– Gianni ti presento la mia amica Marion, in visita dalla Germania.

– Eeeeeh, ma da dove l’hai tolta fuori la tua amica? Dal freezer? Ma cosa sta venendo? Dall’Alaska? Tocca, portala a casa di corsa che se la vedono in giro così la portano all’ospedale!

….

– Chi era quell’uomo?

– Ehm, non lo conosco tanto bene Marion…

– Ma cosa ha detto?

– Nulla nulla

– Ha detto freezer?

– No, cioè, sì, ha detto freezer, ma, ecco, voleva solo dire che hai un incarnato piuttosto chiaro per queste latitudini.

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