Questo è un altro articolo sull’incredibile fiducia nel futuro da parte del popolo teutonico e su alcune smentite.
Mettete un calendario in mano a un tedesco: alla vista di tutte quelle scarne caselline gli si apre un allettante vuoto da colmare. Oh incontenibile emozione! Un’enorme distesa di spogli quadratini da conquistare. Pianificare, pianificare, pianificare!
Osservo l’unico calendario in mio possesso, un regalo. È fermo a maggio.
Mi sono laureata nel 2009. In Germania molti corsi di studio non prevedono la discussione della tesi. Niente parrucchiere, niente pathos, nessuna stretta di mano, nessun fiore. Ci si laurea depositando in segreteria il proprio mattone in triplice copia.
Così è stato anche per me in una buia e tempestosa mattina d’inverno.
Ero stata una settimana prima in segretaria:
– La settimana prossima consegno la tesi.
– In triplice copia, lo sa no? Ogni copia deve essere firmata e datata. Lo fa qua, davanti a me, altrimenti non vale!
– Vengo l’ultimo giorno utile. Mi dica, dove devo andare se questo ufficio dovesse essere chiuso?
– Perché dovrebbe essere chiuso? Quando mai chiuso e chiuso! Io ci sono!
– Mi creda, signora, si fidi. Anzi, faccia una cosa, si organizzi perché la settimana prossima lei non lavora, io mi conosco, c’è una certa melodrammaticità obbligatoria che mi accompagna.
– Le dico che ci sarò. Se proprio non dovessi, vada nell’ufficio accanto. E si ricordi di firmare!
Ultimo giorno utile.
Mentre avanzo verso la segreteria con ossequiosa e cadenzata prudenza nei vuoti corridoi del dipartimento di romanistica – vicino al cuore le mie tre copie in una scatola di cartone stretta al petto – mi ripeto è fatta, è finita, e rievoco nella mente i primi passi verso quella decisione per molti avventata. La telefonata a casa mamma, ho deciso, non torno, No figlia mia no, il test d’ammissione, i corpi ammassati nel lungo e buio corridoio della Humboldt davanti all’ufficio iscrizioni nell’ultimo giorno utile, la prima lezione, le prime facce, l’insinuarsi del timido sospetto di aver commesso un errore.
Proprio come si dice accada poco prima di morire. Dentro quella scatola chiusa con lo scotch giallo da carrozziere, la Naná universitaria se ne andava spassionatamente all’altro mondo.
Sulla porta della segreteria è appiccicato un foglio, sollevo un sopracciglio: la segreteria resterà chiusa a tempo indefinito.
Busso nell’ufficio accanto. Mi accoglie un’impiegata dal volto noto.
– Devo consegnare la tesi.
– Venga, prego, si accomodi, signorina, complimenti, bene, si sieda, a ma guarda, che coincidenza, lei è nata a Cag-liári, bella la Sicilia, molto bella.
Devo firmare, le copie, tutte e tre, altrimenti, non sono valide, ultimo giorno, oggi.
– No ecco, veramente, Sardegna, ma non importa, devo firmare ha una pen-
– Sardegna? Mi sta dicendo cha Cag-liári non è in Sicilia?
– No, Sardegna, Cà-gliari, ma guardi completamente irrilevante.
Mi ritrovo una penna in mano, forse apro la prima copia, data, la data, che giorno è oggi?
– E allora dove caspiterina sono stata io in vacanza? Mi pareva Sicilia, posti bellissimi, ma mi pareva fosse Cag-liári…
– Bella anche la Sicilia certo, scusi che giorno è oggi?
Apro la seconda copia. Ho firmato la prima?
– Un giorno bellissimo signorina, un giorno indimenticabile!
– No, dico, la data esatta, ho un vuo-
L’impiegata mi strappa le tre copie dalle mani.
– Ecco fatto! Bene signorina, grazie. Tanti auguri e parta, si faccia una vacanza! Le faremo sapere. Posti meravigliosi, la Sicilia.
Esco e non ho la più pallida idea. Ho firmato? Mi ritrovo nel cortile dell’università. È presto. È freddo. Non c’è nessuno. Guardo la scatola di cartone. Vuota. Incespico nei miei pensieri. Mi scuoto. Dedico alla mia laurea qualche minuto di raccoglimento. Poso il cartone su una panca. Mi siedo. Il freddo del legno mi costringe a chiudere il collo sciallato. Mi alzo. Mi siedo con un colpo secco su quella scatola. Appiattisco il vuoto e me ne servo come isolante. Va meglio.
A luglio del 2010 mi è arrivata conferma dell’ufficializzazione della laurea. Posso ora ritirare tutti i certificati.
Nella stessa busta anche un invito: Festa di laurea. Siamo lieti di comunicarle che la festa di laurea si terrà a luglio del 2011!
O mio Dio! Mi sento sopraffatta dal patema di essere osservata. Mi volto circospetta a destra e sinistra, rinsacco la testa come una tartaruga per non sentire il fiato sul collo: fff, fff, fff!
È mai possibile nessuno gli abbia mai detto che porta male? Santo cielo! Porta iella! Immaginatevi uno che vi dice: ci vediamo nel 2011!
Ma vai a morire ammazzato brutto iettatore porta sfiga menagramo cugurra tu e tutta la tua genia!
I tedeschi non si pongono degli obiettivi: si impongono delle scadenze, fissano date, confidano incondizionatamente nel susseguirsi regolare del tempo. Il gioco dell’oca del futuro. Spostano ubbidienti le loro pedine in lunghi cicli astronomici.
Io, con questa storia, nel 2011 ho già due appuntamenti. Due spade di Damocle pendenti sulla testa, unte d’ansia da prestazione di vita: devo fare di tutto per sopravvivere perché io nel 2011 devo esserci. Sono stata messa in schedule, sono pianificata, programmata. Vedo caselle con un segno di spunta accanto al mio nome e temo possano mutare in una grossa, nefasta, rossa X.
A me viene da toccarmi dove non ho. Allora tocco legno, come si fa in Germania. Di legno ne hanno in abbondanza i tedeschi.
La lettera d’invito continua: “la preghiamo di informarci su un eventuale cambio di indirizzo, di modo da poterla raggiungere con sicurezza anche a giugno del 2011 e farle pervenire il nostro invito ufficiale”.
Altro sobbalzo. Fanno della reperibilità un obbligo morale. Non pensate di potervela scampare. Vi troveremo ovunque.